Hanno attraversato a più riprese l’immaginario collettivo, ma nonostante i molti studi non hanno mai davvero completato il passaggio dalla fantascienza alla realtà. A superare le enormi difficoltà tecniche legate ai fenomini fisici coinvolti ora ci prova un gruppo di fuoriusciti dal MIT di Boston
Quando arriverà al prossimo Salone dell’Auto di New York, ai primi di Aprile, la Terrafugia Transition si dovrà rassegnare ad essere accolta da qualche risata sarcastica. Inevitabile, per la prima auto volante presentata ufficialmente al pubblico. La Terrafugia, società creata da un gruppo di transfughi del Massachusetts Institute of Technology, lavora alla sua macchina volante più o meno dal 2006. Ma per ora il veicolo ha fatto solo qualche voletto di prova, e vista solo dai suoi progettisti. Nemmeno a New York si potrà vederla volare, ma solo ammirarla (si fa per dire, non è esattamente una bellezza) in uno stand.
Tuttavia, la Transition può vantare una autorizzazione della Federal Aviation Authority (FAA) americana come velivolo leggero, insomma è regolarmente omologata. E i suoi produttori insistono che sarà in vendita entro la fine dell’anno o l’inizio del prossimo, a un prezzo di circa 280.000 dollari, e che ci sono già un centinaio di prenotazioni.
Se ci fidiamo, la Transition sarà quindi la prima «macchina volante» ad arrivare effettivamente sul mercato, il primo mezzo capace tanto di volare quanto di circolare su strada. La realizzazione di un sogno inseguito da sempre dalla fantascienza? Sì e no. Piuttosto, l’ennesima prova delle difficoltà tecniche che hanno sempre impedito di realizzarlo. A prima vista, far volare un’auto non può essere questo grande problema, visto che facciamo volare oggetti ben più grossi e pesanti come gli aerei di linea. Perché allora l’auto volante non esiste ancora, se non appunto nei libri di fantascienza?
Video della CNN in cui si può vedere la transizione tra le due conformazioni dell’auto volante
Torniamo alla Terrafugia. A guardarla, sembra più che altro un furgoncino con le ali. Ha un piccolo abitacolo a due posti, quattro ruote e ali ripiegabili con un’apertura di circa 8 metri. Basta premere un pulsante per ripiegare o aprire le ali. E quando questo avviene, la spinta del motore si trasferisce dalle ruote alle eliche e viceversa.
La Transition con le ali parzialmente dispiegate
Chi volesse acquistarla, si scordi però di decollare e atterrare direttamente dal parcheggio sottocasa. La Terrafugia deve decollare da una pista proprio come un aereo, e addirittura da una pista molto lunga. E il motivo dice molto dei problemi che hanno sempre impedito lo sviluppo delle auto volanti, presenza fissa in tutti i film di fantascienza eppure mai divenute realtà.
Il fatto è che il compromesso tra auto e areo non funziona alla perfezione, per motivi che hanno a a che fare soprattutto con la fisica di quel delicatissimo momento che è il decollo. Quando un aereo si stacca dal suolo sulla pista di decollo, questo avviene perché il pilota fa «ruotare» il muso verso l’alto. Muove l’equilibratore, una parte mobile della coda dell’aereo, sposta il flusso d’aria in arrivo e così fa staccare il muso da terra. A questo punto, se la velocità è sufficiente, le ali generano abbastanza portanza (la forza perpendicolare al moto dell’aria che colpisce l’aeroplano) per portare in volo l’aereo e mantenercelo. La facilità di questa manovra, e la velocità necessaria per eseguirla, dipendono da molti fattori, ma è decisivo il fatto che il perno su cui effettuare la rotazione (il carrello, nel caso dell’aereo) sia molto concentrato, rispetto alle dimensioni complessive dell’aereo. Più il peso dell’aereo è concentrato in un punto, più facile è farlo ruotare. Un banale principio di leva, insomma. Ma la Transition, ha il peso distribuito su quattro ruote messe dove te le aspetteresti in un auto, distanti tra loro, in rapporto alle dimensioni complessive del mezzo. E così per farla decollare ci vuole una pista di almeno tre chilometri, più della maggior parte degli aerei da turismo. Se le ruote fossero più concentrate, d’altronde, la macchina rischierebbe di ribaltarsi in curva una volta a terra.
Auto volanti immaginate dalla fantascienza del passato (Immagine: fabiofeminofantascience.org)
Insomma, la stabilità a terra e la stabilità in volo sono due problemi fisici molto diversi, e conciliarli è tutt’altro che banale, specialmente quando per volare si scelgono ali ed eliche. Sulla carta, sarebbe più facile fare un auto volante che sia in realtà un elicottero con le ruote. L’elicottero, come si sa, decolla da fermo e in verticale (la portanza qui è creata dalla rotazione delle pale). Il problema è che un elicottero è un mezzo volante molto più instabile dell’aereo e più difficile da portare. Per farla semplice, una volta che è in assetto l’aereo va dritto e «si guida da solo» fino al momento di scendere per decollare. L’elicottero, proprio per la composizione delle forze che lo tengono in aria, richiede costanti «aggiustamenti» del pilota per non farlo avvitare o «stallare» (il momento in cui un aereomobile non ha più nulla a tenerlo in volo). Per un’utilitaria volante, decisamente troppo complicato e pericoloso. Resterebbe l’opzione delle turbine e del motore a reazione, quelle usate dai jet. Non a caso esistono i jet a decollo verticale, quelli che partono dalla portaerei. E’ la soluzione proposta dalla Skycar del canadese Paul Moller, sorta di Cadillac con motori a reazione e turbine orientabili, che in teoria sarebbe in grado di decollare e atterrare (e parcheggiare, come dovrebbe fare un’auto) in verticale. Peccato che dopo quasi 50 anni di lavoro e annunci roboanti regolarmente smentiti, la Skycar non abbia fatto più che qualche voletto a pochi metri da terra, e sempre legata a un cavo.