C’è un legame piuttosto forte tra numero di laureati in discipline tecnico-scientifiche (S&T) e capacità di sviluppo innovativo di un paese. Un legame sottolineato anche dalla Strategia di Lisbona, programma lanciato nel 2000 che prevedeva di investire e promuovere il passaggio, per i paesi europei, verso una economia e una società della conoscenza entro il 2010. Uno dei parametri individuati in quella sede è proprio la percentuale dei laureati tecno-scientifici che nel decennio indicato doveva aumentare del 15%. La motivazione sta nel riconoscimento implicito che avere una laurea tecnico-scientifica sia un buon ingrediente per essere definito persona altamente qualificata e potenzialmente interessata a investire risorse e capacità nei campi della ricerca&sviluppo e del trasferimento tecnologico.
Nonostante la scarsità di risorse investite nel nostro paese in ricerca, pari a solo l’1,26% totale di investimento pubblico e privato rispetto al Pil, il settore S&T rimane anche in Italia quello dove le prospettive lavorative sono più interessanti e spesso anche meglio retribuite. Nel 2010, gli addetti alla ricerca&sviluppo (R&S) nel nostro paese sono 3,7 ogni 1000 abitanti contro una media europea di 5.0. Il settore industriale si conferma comunque il più innovativo nel nostro paese, con 43,1% di imprese definite innovatrici contro il 24,5% del settore servizi.
Qualche anno fa l’Italia si è trovata a fronteggiare una vera e propria emergenza: un calo drastico delle iscrizioni alle lauree scientifiche. In risposta, nel 2004 è stato lanciato il Progetto Lauree Scientifiche, una serie di iniziative che hanno coinvolto diversi atenei italiani nel tentativo di promuovere un orientamento più efficace e, di fatto, una sorta di vera e propria campagna di reclutamento tra gli studenti delle scuole superiori.
Siti web dedicati, video, laboratori, open day, giornate specificamente pensate e organizzate per portare gli studenti delle scuole superiori dentro ai dipartimenti e ai laboratori scientifici… gli atenei italiani hanno provato davvero di tutto. Ma dopo un biennio il Progetto si è fermato e non ha più ricevuto finanziamenti. Nel 2009 però il progetto è ripartito, con un nuovo slancio e una nuova serie di iniziative. In collaborazione con Confindustria, il Miur ha ricostituito il Comitato tecnico-scientifico che ha elaborato delle vere e proprie linee guida. Gli effetti di queste iniziative sulle scelte da parte dei ragazzi nei confronti delle lauree a indirizzo S&T si potranno valutare solo nei prossimi anni.
Quello che possiamo fare ora, invece, è usare i dati del rapporto Istat – Noi Italia per capire come sono variate negli ultimi anni queste scelte, quali tendenze si sono registrate. La sezione del rapporto dedicata a «Scienza, tecnologia e innovazione» fornisce molti informazioni precise sul numero di laureati in discipline tecnico-scientifiche, rielaborando dati del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e di Eurostat.
Il primo elemento utile per capire la situazione complessiva del nostro paese è il confronto con altri paesi europei. L'Italia non è lontana dalla media europea: la quota di laureati tecnico-scientifici nel nostro paese è cresciuta in modo continuo nel corso dell’ultimo decennio arrivando nel 2010 a 12,4 laureati in S&T ogni mille residenti tra i 20 e i 29 anni, la fascia demografica di riferimento. La media europea è di 12,5. Tuttavia tra l’oltre 20 per mille di Finlandia, Francia e Irlanda e i valori decisamente sotto media di Ungheria, Malta, Cipro e Lussemburgo il divario è assai significativo. L’Italia è al quintultimo posto. Davanti a noi ci sono paesi che sentiamo molto simili, come Spagna, Portogallo e Grecia che in questo settore hanno nei nostri confronti un vantaggio enorme, come possiamo facilmente vedere dal grafico sottostante.

Lo stesso grafico ci permette di individuare anche le differenze di genere, assai marcate in alcuni paesi. In Italia le laureate in S&T sono il 9 per mille della popolazione di riferimento, contro il 14 per mille degli uomini. Da questo punto di vista la Francia, per fare un esempio, è assai più ineguale: le donne laureate un S&T sono circa il 30% degli uomini!
Se andiamo a livello nazionale, invece, possiamo vedere il cambiamento registrato nell’ultimo decennio. Il grafico sottostante, realizzato con le serie storiche Istat relative agli ultimi 10 anni, permette di effettuare confronti sulla popolazione complessiva (uomini e donne) di laureati per regione italiana in S&T nel corso degli anni. Il valore al 2010 è più che raddoppiato, sia per gli uomini sia per le donne, nella media nazionale.
Ci sono però enormi differenze a livello regionale. Certamente in parte per una differente offerta formativa ma forse anche per l’attrattiva che esercitano alcuni atenei ben inseriti in un tessuto produttivo e di ricerca che offre buone prospettive anche post-laurea o per lo slancio dato da alcune politiche territoriali di investimento in innovazione in vari campi, come ad esempio quello delle energie rinnovabili. Al 2010, quasi tutte le regioni del Centro-Nord hanno valori superiori alla media nazionale. I valori più alti si trovano in Lazio, Emilia-Romagna, Toscana e Friuli-Venezia Giulia.
Tuttavia, è ancora più interessante andare a vedere i trend all'interno delle singole regioni: il Friuli Venezia Giulia ad esempio ha triplicato la sua popolazione di laureati S&T, passando da poco più di 5 a oltre 16 per mille. Stessa tendenza per Lazio, Campania, Piemonte. Il Veneto invece, pur essendo una regione con una fortissima tradizione di piccole e medie imprese e con diversi atenei, tra cui l'Università di Padova che è tra le più antiche e rinomate del paese, ha visto un aumento piuttosto ridotto della popolazione di laureati in S&T che passano dal 6 al 10 per mille.
Purtroppo, questa forte tendenza all'aumento è molto diversa tra uomini e donne. Nelle situazioni migliori la quota per mille di donne è raddoppiata nel corso di questi 10 anni. In molti casi però è cresciuta davvero poco. Per gli uomini invece si registrano aumenti marcati di tre o quattro volte. Un dato su cui torneremo in un prossimo post per cercare di descrivere il grado di attrazione delle discipline scientifiche nei confronti della donne rispetto agli uomini.
Guardando alla popolazione complessiva, invece, una analisi dettagliata a livello regionale di questi dati può forse essere un indizio su quanto negli ultimi dieci anni si è investito non solo concretamente in innovazione sui territori ma anche sul promuovere una convinzione tra gli studenti che una laurea tecnico-scientifica possa essere un buon titolo per contribuire alla spinta innovativa.
Diamo i numeri:
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