Mi piace molto il cinema di animazione in generale e quello giapponese in particolare. Alcuni dei lungometraggi di Hayao Miyazaki sono fra i miei film preferiti, in particolare quei delicati capolavori di riflessione sulle ambiguità della Storia e sul significato della Natura che sono Nausicaä della Valle del Vento e Principessa Mononoke. Se li avete visti, sapete di cosa sto parlando. Se non li conoscete, metteteli nella lista per la prossima visita al vostro videonoleggio. Insomma, non fermatevi a La città incantata...
Come è evidente in molti suoi film, Hayao ha un grande amore per le macchine volanti, dalla scopa di Kiki la piccola strega all'aliante di Nausicaä, fino al Castello errante del film omonimo. Un altro regista giapponese, Katsuhiro Otomo, tradisce nel suo Steamboy una passione altrettanto profonda per la macchina a vapore.
Steamboy è una ucronia: una storia che prende le mosse dagli episodi della Storia come la conosciamo noi, e poi immagina che gli eventi abbiano preso una piega diversa e si siano evoluti verso un presente più o meno diverso dal nostro. Il punto di partenza del film di Katsuhiro è l'Inghilterra vittoriana, al culmine della rivoluzione industriale negli anni Sessanta dell'Ottocento. Steamboy evoca con sorprendente immediatezza alcuni aspetti dell'evoluzione delle prime macchine a vapore: le indagini condotte per tentativi, spesso pericolosi; la ricerca del fluido termico ideale, capace di fornire la massima efficienza; la fiducia ingenua nelle possibilità della tecnologia e, allo stesso tempo, il sospetto dell'inevitabilità del degrado e del disordine, il presentimento che anche i migliori progetti siano destinati a finire male. Come insegnante di fisica sono piacevolmente colpito da queste intuizioni e non manco mai di citare Katsuhiro quando inizio a parlare delle macchine a vapore.
Perché la Seconda Legge è attraversata in filigrana dalle stesse questioni del film: la potenza del vapore (dell'automobile, dell'energia atomica e perfino dell'informazione, continuate come preferite) e una forma originale di pessimismo cosmico. Parte del suo significato porta con sé le luci e le ombre dell'Europa di fine Ottocento. E anche se non sarebbe giusto concludere su questo tono lì il discorso, bisogna pur parlarne, del lato oscuro della Legge...
Le macchine e la Seconda Legge
Un giovane ufficiale francese medita sulle ragioni della sconfitta francese nelle guerre napoleoniche e si concentra su un aspetto che, come ingegnere, gli sembra particolarmente importante: il ritardo tecnologico rispetto alla rivale Inghilterra sul fronte più avanzato della ricerca, quello delle macchine a vapore. Congedatosi dall'esercito, espone i risultati delle sue indagini in un libro rivolto anche ai non specialisti della materia, le Réflexions sur la puissance motrice du feu, apparse nel 1824 e subito dimenticate. Fino a quando la loro riscoperta non segnò l'inizio della termodinamica moderna.
Il genio di Sadi Carnot (1796-1832) fu quello di tutti i grandi teorici: vedere, dietro la mole ingombrante di pistoni e caldaie e le nuvole di vapore, le forme semplici ed essenziali delle relazioni fra grandezze fisiche. Grazie a queste intuizioni, Carnot riuscì a comprendere il principio di funzionamento di ogni possibile macchina termica, cioè di qualsiasi dispositivo capace di sfruttare la differenza di temperatura fra due corpi per ricavare energia utile. Che si tratti di una locomotiva, di una centrale nucleare o di una cellula, qualunque sistema si basi su una differenza di temperatura obbedisce alla legge scoperta da Carnot. Che è, naturalmente, la Seconda Legge.
Immaginiamo una macchina molto semplice. Un cilindro, chiuso da un pistone mobile, che contiene una certa quantità di gas. Scaldando il gas mediante il calore Q prelevato da una caldaia lo si fa espandere; il gas spinge contro il pistone e gli permette di compiere un certo lavoro su un albero motore, trasferendo all'albero una certa quantità di energia.
Se ci fermiamo qui, il nostro motore è inservibile. Funziona una volta sola, fa compiere alle ruote un mezzo giro, e poi si ferma. Se vogliamo continuare ad usarlo, dobbiamo riportare il pistone verso l'interno del cilindro, comprimendo il gas fino al volume di partenza e ricominciando il ciclo.
Ma la compressione del gas non può avvenire "a caldo", o consumerebbe tutta l'energia ricavata dalla prima parte del ciclo. Prima di comprimere il gas bisogna raffreddarlo, permettendogli di cedere un calore Q' a un refrigeratore.
Questa semplice analisi mostra già l'essenziale: per far funzionare un motore non basta una caldaia, serve anche un refrigeratore. Ed è inevitabile sprecare, come calore Q', una parte dell'energia Q prelevata dalla caldaia. Quell'energia non potrà più essere recuperata. Si trova ora nel refrigeratore, che è "freddo": se lo mettessi a contatto con la caldaia, che è "calda", non potrei costringere Q' a tornare in quest'ultima. Finirei invece per sprecare dell'altra energia.
La Seconda Legge afferma che questo spreco è inevitabile e dunque irreversibile. Nessun dispositivo può prelevare energia da un serbatoio e convertirla interamente in lavoro utile. La macchina si intromette nel normale flusso di calore dalla caldaia al refrigeratore e lo usa per girare, come un mulino usa l'acqua di un fiume che corre a valle. Ma alla fine l'acqua deve scorrere verso il basso e fermarsi. L'energia può essere usata soltanto a patto di sprecarne una certa parte. Per lo più una parte considerevole. (Carnot dimostrò un teorema che fissa il limite minimo dell'energia che va sprecata in particolari circostanze.)
L'inquinamento termico
L'energia sprecata è persa per sempre. È andata ad innalzare lievemente la temperatura del refrigeratore. Ogni volta che apriamo la diga dell'energia, e la lasciamo scorrere dal sistema dove essa è più densamente impacchettata (la caldaia) al sistema dove essa è distribuita su un maggior numero di molecole (il refrigeratore), non possiamo più riportarla indietro. L'Universo ha fatto un altro piccolo passo verso l'equilibrio termico, la condizione senza ritorno.
Ma chi è, il refrigeratore? La caldaia è, di volta in volta, il carbone o il petrolio che bruciano, i nuclei di uranio che si scindono, la radiazione solare che incide su una superficie, e ha una temperatura di molte centinaia di kelvin e più. Serve un corpo freddo, a poche centinaia di kelvin, facilmente disponibile. Eccola qua: è l'ambiente.
Il motore dell'automobile scarica energia nell'ambiente attraverso il radiatore. Un impianto industriale ha un complesso sistema di raffreddamento. Alla fine, l'energia sprecata va ad aumentare la temperatura della porzione di ambiente utilizzata. Se uso l'acqua di un fiume, la scaldo. Ma la solubilità dell'ossigeno diminuisce con la temperatura. Nell'acqua più calda c'è meno ossigeno, e i pesci muoiono. Anche il più pulito sistema di raffreddamento inquina le acque che utilizza. Lo chiamiamo inquinamento termico.
È vero, l'ambiente terrestre ha a sua volta un serbatoio freddo in cui scaricare calore: è lo spazio esterno o, se preferite un'immagine più poetica, il cielo notturno, che si trova alla temperatura di circa 3 kelvin. Possiamo sempre perdere calore e gettarlo in questa grande pattumiera cosmica, no?
Beh, non sempre. Non se l'atmosfera diventa opaca alla radiazione termica che emana dalla superficie terrestre. Che è quello che succede a causa dell'effetto serra. La CO2 emessa in tre secoli di sviluppo industriale intercetta il calore di cui cerchiamo di liberarci e ce lo rimanda indietro. La macchina a vapore si rivolta contro di noi, come nel finale di Steamboy e in tante parabole romantiche.
Che la Seconda Legge stia cercando di dirci qualcosa? Sì, senza dubbio, e faremmo bene ad ascoltare. Anche perché non sono soltanto cose negative...
Per approfondire:
La pagina di Wikipedia dedicata a Sadi Carnot