Vivere in un paese a clima temperato vuol dire avere le spalle (e la schiena) abbastanza forti da superare intere settimane di nebbie, strade ghiacciate e nevicate improvvise. Anche se per la scienza la primavera inizierà il 21 marzo, con l’equinozio, tutti noi sappiamo che dobbiamo ancora superare il periodo di carnevale e del festival di Sanremo per poter dire di essere davvero usciti dal tunnel, e aver scampato anche quest’anno bronchiti, influenza e scivoloni sul ghiaccio. Il meteo ci avvisa che proprio in questi giorni la nostra penisola sarà investita da una nuova ondata di gelo. Abbiamo cercato quindi di schivare il tedio di queste giornate uggiose facendoci raccontare da Florence Colleoni, ricercatrice di paleoclimatologia all’Università di Bologna, qualcosa di intrigante sulla neve e sul ghiaccio, per esempio come si forma un fiocco di neve e come si studiano i ghiacci perenni.
Cos’è il ghiaccio? Quanti tipi ne esistono?
Il ghiaccio corrisponde allo stato solido dell’acqua pura che risulta dal processo di congelamento. A pressione atmosferica terrestre e al livello medio del mare la temperatura di congelamento dell’acqua è 0°C. Nell’acqua liquida le molecole sono molto mobili e si possono orientare in modo quasi indipendente, la struttura di base in questa fase è tetraedrica. Quando l’acqua congela, il volume specifico delle molecole aumenta e assumono la forma cristallina esagonale. Questa struttura di ghiaccio si chiama Ih (1h): è la forma di ghiaccio più comune e ha una densità molecolare di circa 917 kg/m3, inferiore rispetto a quella dell’acqua e questo spiega perché gli iceberg galleggiano. Però, durante il congelamento, l’ordine atomico non è perfetto e le molecole d’acqua possono assumere 6 forme diverse che corrispondono alle diverse posizioni dell’idrogeno rispetto all’ossigeno (Figura 1). In natura ritroviamo a livello di biosfera il tipo Ih. A bassa temperatura (< 77 Kelvin; 0°Celsius = 273,15 Kelvin), ma sempre a pressione atmosferica, il ghiaccio può assumere una forma cristallina cubica chiamata Ic che ritroviamo a livello di alta atmosfera.
Figura 1: Le sei strutture cristalline che prende il ghiaccio Ih (Fonte: CNRs)
La pressione è un fattore decisivo per il ghiaccio perché determina la temperatura del punto di fusione, ovvero il punto in cui il ghiaccio comincia a sciogliersi. Determina anche la temperatura del punto di ebollizione dell’acqua: sulla cima dell’Everest per esempio la temperatura di ebollizione dell’acqua passa da 100°C a 68°C a causa di una diminuzione della pressione atmosferica rispetto al livello del mare. In funzione delle condizioni di temperatura e pressione, il ghiaccio può avere diverse strutture cristalline, in genere più dense rispetto al ghiaccio ordinario Ih e all’acqua. In totale, quindi, sono stati scoperti 14 tipi diversi di ghiaccio da Ic a XIV, oltre al più comune Ih.
Figura 2: Diagramma di fase dell’acqua pura. Sulla Terra, esistono i tre stati di acqua. (Fonte: Wikipedia)
Cosa differenzia la neve e la brina dal ghiaccio?
La differenza principale fra neve e ghiaccio consiste nello stato iniziale dell’acqua che li forma. La neve si forma quando il vapore d’acqua contenuto nell’atmosfera si solidifica in cristalli di ghiaccio che crescono man mano che precipitano verso la superficie terrestre. Invece il ghiaccio deriva dal congelamento dell’acqua liquida. La neve è bianca perché è composta da ghiaccio, aria e acqua liquida, mentre il ghiaccio sembra più trasparente perché è quasi esclusivamente composto da molecole d’acqua congelate. La densità della neve varia da 40 kg/m3 a 600 kg/m3 a seconda del tempo di residenza della neve sul suolo, del tipo di cristalli, delle condizioni di vento e di temperatura atmosferica. La brina è un deposito di micro-gocce d’acqua in sopraffusione, cioè permane come formazione su una superficie quando la temperatura si abbassa sotto il punto di congelamento senza diventare ghiaccio. In effetti, l’acqua può restare allo stato liquido fino a -39°C se non ci sono nuclei di congelamento (per esempio polveri). Ma per contatto con un oggetto freddo, passa direttamente allo stato solido. Le gocce che formano la brina provengono da una nuvola o dalla nebbia. La brina contiene dell’aria che la fa diventare bianca (Figura 3) e che diminuisce la densità fino a un quarto di quella del ghiaccio ordinario.
Figura 3: Albero preso dalla brina. (Fonte il meteo.it)
È vero che non esiste un cristallo di ghiaccio, fiocco di neve, uguale ad un altro?
Sì, è vero. In una nuvola molto fredda, il vapore d’acqua condensa direttamente in cristalli di ghiaccio attorno ai nuclei di congelamento (per esempio polveri). Se durante la caduta incontrano solo strati d’aria a temperatura inferiore di 0°C, i cristalli si aggregano e si combinano per formare fiocchi di neve più grossi. L’unica caratteristica comune a tutti i cristalli è la loro struttura esagonale. La forma dei cristalli varia in funzione della temperatura ma anche del tasso di umidità e questo fa sì che ogni cristallo sia unico, secondo questi disegni geometrici
(Figura 4):
- da 0 a -4°C: mini piastre esagonali
- da -4 a -6°C: spine
- da -6 a 10°C: colonne vuote
- da -10 a -12°C: cristalli a 6 punte lunghe
- da -12 a -16°C: dendrite filiforme
Figura 4: Fiocchi di neve fotografati da Wilson Bentley (1865-1931)
Perché si utilizza il sale sulle strade contro il gelo?
Il sale è idrofilo, anche quando l’acqua è congelata. Idrofilo significa che gli ioni negativi del sale (Na+ + Cl-) si combinano con gli ioni positivi dell’acqua (2H+ + O2-) consumando calore: la soluzione si raffredda. Visto che si raffredda, abbassa la temperatura del punto di congelamento dell’acqua: questo abbassamento di temperatura dipende della concentrazione di sale. Per esempio, se usiamo il sale da cucina, la temperatura dell’acqua si abbassa fino a -38°C senza congelare. In conseguenza, il liquido è molto più freddo ma il ghiaccio si scioglie anche rapidamente. Usiamo quindi sale sulle strade per impedire all’acqua di congelare quando la temperatura scendo sotto lo zero e anche per far scogliere lo strato di neve o ghiaccio già accumulato. Abitualmente, vista la quantità e la concentrazione del sale usato sulle strade in Europa, si ritarda la formazione di ghiaccio fino a -5/-6°C. Le sostanze chimiche antigelo (glicole etilenico, metanolo, alcol etilico) hanno la stessa funzione del sale e abbassano la temperatura di congelamento dell’acqua o di altri liquidi sottoposti a temperature negative estreme. Abitualmente in Europa le proporzioni di liquido antigelo nel liquido di raffreddamento dei motori varia dal 30 al 60%.
Perché vengono studiati i ghiacci perenni? Come si fa a prenderne un campione?
Oggi sono rimasti due luoghi sulla Terra che possiedono ghiacci perenni importanti per la ricerca scientifica, l’Antartide e la Groenlandia. Per prendere un campione di ghiaccio da studiare è necessario forare il terreno e prelevarne un cilindro, che viene chiamato «carota». Prima di fare una carota, però, il sito viene studiato: i ghiacci continentali, infatti, hanno una forma convessa con la tendenza a fluire dal centro verso i margini. Questa forma è dovuta all’accumulo annuale di strati di neve che fluiscono, ma a scale di tempo molto più lunghe, dall’interno del ghiaccio verso l’oceano. In ogni strato di ghiaccio e di neve e nelle bolle d’aria in essi contenute vengono intrappolate informazioni molto preziose che permettono, dopo essere state analizzate, di ricostruire una storia più o meno continua del clima del passato.
Figura 5: Strato di ceneri preso nel ghiaccio di una carota sul sito di Talos Dome (Antartide). Fonte: Institut polaire
L’Antartide è il più difficile da raggiungere ma il suo ghiaccio contiene una storia più vecchia e lunga rispetto a quella della Groenlandia. Quest’ultima, infatti, si è già quasi totalmente sciolta parecchie volte durante gli ultimi 500.000 anni. Recentemente in Groenlandia gli scienziati sono riusciti a forare il ghiaccio fino a risalire all’ultimo periodo interglaciale, cioè a 125.000 di anni fa. In Antartide, al contrario, si fora quasi fino a raggiungere ghiacci vecchi di un milione di anni. Un complesso di carotaggio polare è costituto da un carotiere con il suo cavo e la sua torre. Il carotiere è sospeso nel buco di carotaggio con un cavo elettro-portatore (Figura 6). Nel caso di carotaggi con profondità superiori a 500 metri, il buco viene riempito da un fluido per mantenere la pressione idrostatica del ghiaccio. Se la densità del fluido è uguale a quella del ghiaccio, il buco non si può più richiudere. Il ghiaccio è tagliato nella lunghezza da un tornio e alla fine da coltelli localizzati su un piano orizzontale nella parte bassa della testa del carotiere (Figura 7).
Figura 6: carotiere sul sito di Talos Dome (Antartide)
La lunghezza di una carota è di circa 2 metri. Nei casi di carotaggi tra i 1000 e i 4000 metri di profondità è necessario realizzare parecchie centinaia di torni: la maggior parte del tempo è dedicata alla discesa e alla risalita del carotiere nel buco per ogni torno. Per esempio, alla profondità di 1000 metri, un torno (ogni taglio cilindrico) dura più di un’ora e mezza. Quindi per carotare il ghiaccio servono mezzi tecnici importanti sia per aprire il buco che per conservare le carote dopo l’estrazione. In effetti, le carote devono essere conservate a temperature inferiore ad almeno -35°C, altrimenti si rischia di fare sciogliere la carota e di perdere informazioni importanti.
Figura 7: Testa del carotiere che permette l’estrazione della carota di ghiaccio. (Fonte: Institut polaire)
Per quale motivo l’aeroporto di Parigi ha avuto problemi di rifornimento di antigelo a Natale? Come viene usato sugli aerei?
A Natale le condizioni invernali estreme hanno costretto l’Europa a chiudere alcuni aeroporti e hanno provocato la cancellazione di centinaia di voli. A Parigi la situazione è diventata drammatica quando tra il 23 e il 25 dicembre scorso le condizioni meteo, combinate a una mancanza di antigelo, hanno bloccato migliaia di passeggeri all’aeroporto. L’antigelo comunemente usato in Europa, monopropilenglicole, viene usato sulla carlinga e sulle ali degli aerei. Vaporizzato con dell’acqua bollente fino al decollo, permette di eliminare e di impedire l’accumulo di ghiaccio e di brina che potrebbero modificare il peso e la portanza degli aerei e, di conseguenza, la loro capacità di volare. Ultimamente, la persistenza delle condizioni meteo estreme ha provocato un aumento vertiginoso del prezzo di questo antigelo e durante il mese di dicembre il consumo europeo di antigelo ha raggiunto la quantità totale usata durante l’inverno 2009. Tuttavia, la situazione che ha provocato la carenza di antigelo all’areoporto di Roissy (a Orly l’antigelo non mancava e infatti quasi tutti gli aerei sono partiti) non è chiara: sembra che la società di rifornimento di antigelo fosse in sciopero in quel momento e quindi l’aeroporto di Roissy non ha potuto rifornire le sue riserve in tempo. La compagnia che gestisce i due aeroporti di Parigi, Aeroport de Paris (ADP), ha fatto arrivare dagli USA con una nave un nuovo stock di monopropilenglicole, ma era troppo tardi.