La domanda
Il mio obbiettivo è quello di dimostrare come la scienza come tutta la conoscenza umana sia succube di tutte le influenze culturali dalle tradizioni scientifiche al metodo, dall'abitudine alla cultura filosofica, religiosa o letteraria che sia. Anche la scienza quindi che sembrerebbe la disciplina più oggettiva in realtà è vincolata dal background dello scienziato e ciò limita il progresso. Sul piano filosofico pensavo a G. Bachelard che individua gli ostacoli epistemologici come deterrente al progresso risolvibile solo attraverso la filosofia del non. Su un piano un po' più scientifico, invece, pensavo di portare come esempio l'etere che è stato nella storia della fisica un vincolo enorme fino alla dissoluzione del concetto di etere da parte di Einstein.
Shirel, Liceo Scientifico
La mia risposta
Il tema che Shirel ha scelto è interessante e delicato. È importante che lo svolgimento sia condotto con equilibrio.
Non scriverei che la scienza «è succube». Piuttosto, è un risultato acquisito delle scienze umane che anche gli scienziati e il loro lavoro sono determinati storicamente. Le idee che i ricercatori possono concepire e le strategie che possono mettere in atto sono quelle che la loro epoca permette di elaborare. Kepler arriva alla terza legge sul moto dei pianeti grazie a un complicato ragionamento basato sulla musica delle sfere, più vicino alla mentalità di un mistico dell'età barocca che a quella di un astronomo contemporaneo. Ma la terza legge è giusta. E probabilmente Kepler non la avrebbe scoperta, se non avesse coltivato le idee che circolavano intorno a lui.
In altri termini: la cultura alla quale appartengono gli scienziati è per loro un vincolo ma anche una risorsa. Pensare «a prescindere» da essa non sarebbe «più efficace»: sarebbe impossibile.
Anche l'esempio dell'etere è istruttivo. È soltanto da un punto di vista contemporaneo e antistorico che possiamo considerare l'etere come un vincolo e un impaccio. Maxwell ha sviluppato la sua teoria del campo elettromagnetico trattando quest'ultimo come una perturbazione nell'etere, e difficilmente avrebbe potuto fare diversamente. Per lui, l'alternativa all'etere sarebbe stata la vecchia idea di azione istantanea a distanza, incompatibile con l'idea delle onde elettromagnetiche.
Anche l'esperimento di Michelson e Morley è concepito all'interno della teoria dell'etere. Il punto è che questo dato di fatto storico non impedisce agli scienziati di prendere atto del fallimento dell'esperimento stesso. A quel punto – ma soltanto a quel punto – diventa possibile accettare la nuova concezione introdotta da Einstein. L'etere cade quando è possibile farne a meno: non prima.
Ti suggerisco perciò di presentare la tua come la tesi della dipendenza dell'immaginazione scientifica dalla cultura del tempo, ma non come una condanna di questo dato di fatto. Non c'è «limitazione del progresso», perché non c'è immaginazione (neppure nella scienza) senza background culturale.